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GENESI
 
 
 IN PRINCIPIO DIO CREO' IL CIELO E LA TERRA

                                                                

 

 

LA BIBBIA

Ultimo Aggiornamento: 27/05/2011 20:25
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24/05/2011 20:30
 
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A quel tempo la Bibbia incoraggiò e sostenne l'epopea dei Maccabei (175-134 a.C.), i quali, sorretti dalla sua parola, iniziarono una lotta di liberazione dal politeismo seleucida, che fu coronata dalla definitiva sconfitta del re Antioco IV, attuando così la profezia di Daniele. Nutriti dalla meditazione della Bibbia, «i poveri di Israele», persone viventi nell'attesa del Messia, aspettavano colui che avrebbe dovuto portare luce, serenità e amore verso Dio e verso gli uomini.

« Mi consumo nell'attesa della tua salvezza
- essi dicevano -
ma spero nella tua parola!»
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Di conseguenza questi Ebrei si inebriavano della legge, che per loro era la volontà del Signore:
« Quanto amo la tua legge, Signore,
Tutto il giorno la vado meditando . . .
Sono più saggio dei miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti . . .
Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino,
mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore!»
(Sl 119, 81.97-100.105.111)
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La loro speranza fu coronata da Gesù, l'ultimo dei «profeti», corona e apice della Bibbia. A lui si deve l'interiorizzazione della religione e lo spirito di libertà, che dovrebbero essere fatti propri dai suoi discepoli.
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CONCLUSIONE

Ormai la Bibbia ebraica ha raggiunto la sua maturità, con una sua fisionomia che non cambierà più on seguito.

Ormai essa deve solo attendere il tocco finale che le darà il Cristo, del quale fungeva da pedagogo. «Prima che venisse la fede (espressa nel Nuovo Testamento), noi (ebrei) eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge. Così la legge - qui intesa in senso largo come il complesso di tutti i libri sacri giudaici - è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perche fossi giustificati per fede » (Gl 3, 23-25)

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Note a margine:
(1) Non si può pensare a una finzione per sottolineare l'unità del santuario stabilito da Giosia (o da Ezechia), perché in tale caso non si sarebbe mantenuto anonimo tale luogo, ma si sarebbe chiarito che si trattava di Sion, così come il Pentateuco Samaritano talora vi introdusse il monte Garizim, luogo del loro santuario e del loro culto. torna al testo

(2) Era l'anno 444 o 398 a seconda che il contemporaneo re persiano Artaserse si identifica con il I o con il II (cfr Esdra 7, 7). torna al testo

(3) Ne 10, 31-36 con Lv 25, 4; 24, 5 s; 6, 12. torna al testo

(4) Cfr Nm 15, 22-31 con Lv 4 (sacrificio per il peccato). torna al testo

(5) H. Haag, La parola di Dio, in Mysterium salutis, Brescia, Morcelliana, I p. 412). torna al testo

(6) L'attendibilità critica dell'autore è alquanto discutibile, perché nello stesso versetto sembra attribuire al profeta anche la cosiddetta Apocalisse di Isaia "vide gli ultimi tempi", la quale è certamente apocrifa. torna al testo

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7) Questo naturalmente milita contro la sua inclusione nel canone cattolico, come uno scritto ispirato deuterocanonico. Se avesse goduto la medesima autorità degli altri scritti, non si capisce il ragionamento del nipote. torna al testo



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Dopo questo questo primo capitolo della prima parte dell'opera " Il Romanzo della Bibbia" di Fausto Salvoni, edito dalla Libera Facoltà Biblica Internazionale di Via Del Bollo 5, Milano, 1980, puoi proseguire la lettura nel secondo capitolo.
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Capitolo 2
La Bibbia è un poliglotta

Lingue bibliche e materiale scrittorio

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INDICE DELLA PAGINA

I. Il modo di scrivere
a) L'alfabeto
b) Scrittura paleocristiana
c) Scrittura aramaica
II. Materiale usato per scrivere
III. Gli strumenti della scrittura
IV. Le lingue della Bibbia
1. Ebraico
a) Sua fisionomia
b) Sviluppo della lingua
V. L'aramaico
a) Sua storia
b) Lingua di Cristo
VI. Greco
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L'ispirazione biblica riguarda solo il testo originario come uscì dalla penna dello scriba e non le sue traduzioni. È quindi utile ricercare il modo con cui la Bibbia fu scritta e le lingue nelle quali essa venne composta.

I. Il modo di scrivere

Molti studiosi del secolo scorso, la cui ipotesi fu accolta anche dal Voltaire, pensavano che la scrittura fosse sorta al tempo della monarchia ebraica (sec. 9° a.C.), quindi alcuni secoli dopo Mosè, vissuto nel 13° secolo. Nel 1815 Wellhausen ne prendeva lo spunto per negare che Mosè avesse scritto il libro della Legge. Renan, nella sua famosa "Storia del popolo di Israele", ripeteva che la scrittura apparve presso gli Israeliti soltanto tre o quattro secoli dopo Mosè e Giosuè. Con la scoperta della biblioteca di Amenofi IV a Tell el-Amarna in Egitto risultò invece che i vari re di Canaan, già nella prima metà del 14° secolo, si rivolgevano al Faraone in assiro babilonese e con caratteri cuneiformi, per cui il Winckler e il Naville, poco dopo il 1900, supposero che anche Mosè avesse scritto parte della Legge in caratteri cuneiformi (1) .

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a) L'alfabeto
Ulteriori scoperte hanno mostrato che i fenici a quel tempo già avevano scoperto l'alfabeto, perché a Ugarit (Ras Shamara), importante centro commerciale sulla costa siriana dal 1550 a circa il 1350 a.C., furono scoperte nel 1929 tavolette d'argilla in caratteri cuneiformi, ma in scrittura alfabetica (2) .

La scrittura ebbe inizio con la pittografia nella quale gli Egizi, ad esempio, raffiguravano la realtà che volevano esprimere: occhi, naso, bocca, sole, luna e via dicendo (3) . I semiti vi introdussero un reale capovolgimento, in quanto usarono quegli stessi segni, un po' stilizzati, per indicare la lettera dell'alfabeto con la quale i nomi di tali realtà, così raffigurate, iniziavano. Ad esempio, la testa di un bue, chiamato 'alùf in ebraico, servì per indicare la leggera aspirazione iniziale chiamata 'alef. Tale forma, sia pure stilizzata, si ritrova ancora capovolgendo il nostro A. Il quadrilatero, indicante una casa, fu adoperato per indicare
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il b perché la casa si chiamava in semitico bet (bajit), da cui il nome baita tuttora esistente in qualche isolata valle italiana a ricordo di un antico passaggio di semiti. La forma del pesce, detto dag in ebraico, divenne la lettera d (dalet): il segno di una serpe, detta nacash in ebraico, significò una n ; una bocca aperta, il segno di una p (ebr, pe' = bocca); un occhio fu usato per segnare la gutturale ' con cui inizia la parola 'ain "occhio"; Il profilo di una testa umana assunse il valore di r, da rosh "capo", divenuto in greco la lettera r (ro). la cui forma maiuscola ( R ) riproduce in modo assai stilizzato il capo con il collo.

L'origine dell'alfabeto vero e proprio, dal quale derivano tutti gli altri alfabeti anche moderni, si avverò, a quanto sembra, nella miniera di turchese, rame e malachite della regione sinaitica ad opera di schiavi semiti che vi lavoravano. Gli scavi di Serabit el-Hadim, iniziatisi nel 1904, la comprovano con sicurezza. Sir Flinders Petrie, che per primo scoprì tali segni (circa una trentina), pose le iscrizioni proto-sinaitiche o proto-fenicie verso il 1500 a.C.; altri studiosi le fanno risalire addirittura al periodo degli Hyksos (sec. 18°) (4) .
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Siccome segni affini ai precedenti (sec. 18°-13°) furono trovati anche nel mezzogiorno della Palestina (Sichem, Bat Shemesh, nei pressi di Betlemme) su "cocci" (ostraca) e punte di giavellotto, tale alfabeto paleoebraico si chiama anche palestinese meridionale. Le punte di giavellotto, assai rovinate, sono ora indecifrabili, ma rappresentano certamente il dialetto cananeo dell' 11° secolo a.C. Questi reperti costituirono una tappa fondamentale per il passaggio dalle iscrizioni protosinaitiche a quelle fenicie del 10° secolo. Un vaso di Lakish del 13° secolo reca anch'esso una iscrizione cananea arcaica.

Tutti gli alfabeti provengono, attravero una particolare loro evoluzione, da questo alfabeto antico, tramite i fenici, grandi navigatori e celebri commercianti dell'antichità. Tra il 9° e l' 8° secolo a.C. adottarono tale alfabeto anche i greci, i quali, dal momento che scrivevano da sinistra a destra e non da destra a sinistra, come i fenici, capovolsero la direzione dei segni. Di più i greci, che non possedevano le gutturali semitiche, utilizzarono questi segni superflui unitamente alle vocali (j, w), per indicare le vocali greche, mancanti invece nell'alfabeto semitico. Un indizio dell'origine semitica dell'alfabeto greco si ha nella leggenda che attribuisce l'invenzione delle lettere, dette cadmee, al fenicio Cadmeo, nel quale si può individuare il qedem ossia "l'Oriente". Con più chiarezza Plinio il Vecchio (1° sec. d.C.) scrisse che « la gente fenicia ebbe la grande gloria di avere inventato le lettere alfabetiche » (5) . Lo stesso nome "alfabeto" ricorda le prime due lettere ebraiche alef , bet unite all'ultima tau (t).

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b) Scrittura paleoebraica
La scrittura paleoebraica era assai simile a quella fenicia. L'esemplare più antico, per ora, consiste in un esemplare di ca 3000 anni fa, scoperto nel 1976, e che stava per essere buttato via come un pezzo privo di valore. Deve risalire verso il 1200 a.C., ossia oltre 200 prima del noto calendario di Ghezer (ca 900-950 a.C.). Fu estratto da un pozzo di Izbeh Sarte, una quindicina di chilometri ad oriente di Tell Aviv. L'iscrizione sembra essere stata l'esercitazione di uno studente aspirante scriba. Contiene un acrostico, combinazione voluta in modo che, leggendo di seguito la prima lettera di ogni capoverso, si ottenga una parola, ma purtroppo il senso ci sfugge. Essa costituisce un anello di congiunzione tra la pittografia e la scrittura alfabetica. L'ultima riga presenta un alfabeto analogo a quello ebraico moderno di 22 lettere; ha infatti 21 lettere più uno spazio bianco al posto della lettera m .

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La scrittura ebraica antica non ha subito forti variazioni nel corso dei secoli, passando dal calendario agricolo di Ghezer (ca 950-900 a.C) ai 75 ostraca (cocci) di Samaria segnanti gli acquisti di vino ed olio per il palazzo reale di Geroboamo II (ca 760 a.C), alla iscrizione di Mesha (ca 850 a.C. cfr 2 Re 1, 1 e 3, 4-9.24-27), a quella di Siloe al tempo di Ezechia (ca 710 a.C.).

L'ostracon rinvenuto a Mesad Hashaviyahu, che contiene la protesta di un contadino perché si era visto portare via il mantello per non aver terminato il proprio lavoro (sec. VII cfr Es. 22, 25 s), e quelli di Lakish di poco posteriori (sec. VI contemporanei di Geremia), mostrano un leggero passaggio verso una scrittura più corsiva.

Vi si devono pure aggiungere i frammenti dell'Esodo, del Levitico e dei Profeti Minori, rinvenuti a Qumran, i quali conservano caratteri arcaici. Origene e Girolamo, profondi cultori cristiani della Bibbia, che non ebbero conoscenza di questi reperti archeologici, potevano tuttavia vedere nella forma primitiva almeno le quattro lettere del nome divino (YHWH) conservata nelle copie della versione greca di Aquila, simili a quelle dei frammenti trovati nel 1897 nella Gheniza del Cairo o rinvenuti di recente a Qumran (Profeti Minori).

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c) Scrittura aramaica
La scrittura aramaica ha subito invece una evoluzione assai più marcata. Dalla forma dei testi di Arslan Tash e Tell Halaf (ca 850 a.C.), assai vicini a quella fenicia originaria, è passata a un altro tipo più corsivo nell'iscrizione della stele di Bar-Rekub (7° secolo a.C.) e nei papiri di Elefantina in Egitto (5° secolo a.C.). Con la sua diffusione ad opera della cancelleria persiana, che ne adottò la forma e la lingua, fu accolta pure dagli ebrei verso il 2° secolo a.C. Essa apparve nel papiro di Nash (150 a.C.), così chiamato dal nome del segretario della Society of Biblical Archeology, che lo comprò nel 1902; nella iscrizione dei figli di Haziz; nella pietra di confine di Ghezer (2° e 1° sec. a.C.) e nella maggioranza dei manoscritti di Qumran. Per la prevalenza delle rette e degli angoli sulle linee curve, è detta anche "quadrata".

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Il cambiamento della scrittura al tempo della restaurazione postesilica è testimoniato da un testo talmudico, per il quale la forma quadrata sorse in Assiria e fu portata in Palestina da Esdra:

Al principio la legge fu data agli israeliti nella scrittura ebraica (= fenicia) e nella lingua santa (= ebraico). Al tempo di Esdra fu data di nuovo in scrittura assira (ashurit = quadrata) e in lingua aramaica. Gli israeliti si scelsero per loro la scrittura assira (quadrata) e la lingua santa (= ebraico), lasciando la scrittura ebraica (= fenicia) e la lingua aramaica agli idioti. Chi sono gli idioti? Risponde R. Hasda: i cutei (ossia i samaritani, cfr 2 Re, 17, 24.30). (6)
La scrittura quadrata apparve nei monumenti solo all'inizio dell'era cristiana, come ad esempio nelle iscrizioni delle sinagoghe galilaiche e negli epitaffi rinvenuti presso Gerusalemme e nella Galilea. L'evoluzione della scrittura quadrata ebraica ebbe termine fra le due guerre giudaiche (70 e 130 d.C.), perché i manoscritti di Murabba'at usano regolarmente anche la forma finale di alcune lettere, che è invece sconosciuta o poco usata prima del 70 d.C.
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II. Materiale usato per scrivere
Tralascio il materiale prezioso che si adopera per puro ornamento, come la lamina d'oro portata dal sommo sacerdote sulla mitra e che portava scritto « consacrato a Jahvè» (Es 28, 36).

1) È strano che gli Ebrei - a differenza dei popoli confinanti che scolpivano molto sulla pietra - abbiano lasciato pochissime iscrizioni di tal genere. Perché? Forse per rispetto alle due tavole dei comandamenti (« Tavole della legge ») che furono scolpite « con il dito stesso di Dio » affinché durassero per sempre (Es 24, 12; 31, 18; 34, 1; Dt 4, 13)? Anche le due pietre, rizzate dopo aver attraversato il Giordano, non furono scolpite, ma solo intonacate di calce, sulle quali si scrissero poi « le parole di questa legge » (Dt 27, 2 s; Gs 8, 32). Dunque l'iscrizione non conteneva parole umane, bensì solo parole divine. L'unica iscrizione preellenistica su pietra, ancor oggi esistente, è la celebre iscrizione di Siloe (710 a.C.),
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24/05/2011 20:34
 
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scolpita per perpetuare sulla roccia il ricordo del tunnel scavato a Gerusalemme da Ezechia per approvigionare la citta di acqua durante gli assedi (cfr 2 Re 20, 20; 2 Cr 32, 30). Tuttavia era stata messa in un posto invisibile al pubblico. Essa così suona:

(È terminato) il traforo. Ecco come avvenne il traforo, quando non restarono che (tre cubiti da abbattere il piccone) contro il piccone, l'uno verso l'altro. E quando non rimasero che tre cubiti da abbatte(re si inte)se la voce dell'uno che chiamava l'altro, perché c'era dell'ardore (per il lavoro) all'interno della roccia, a destra e (a sinistra). E il giorno del traforo, i minatori batterono l'uno contro l'altro, piccone contro piccone. E presero a correre le acque della fonte, verso il serbatoio per 1200 cubiti (= 600 metri) e di 100 cubiti era l'altezza della roccia sulla testa dei minatori.
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Va pure ricordata l'iscrizione funeraria di un intendente regio, trovata sopra la vallata di Siloe, che viene ipoteticamente riferita, in mancanza del nome completo a « Shebna, soprintendente del palazzo », di cui parla Isaia (22, 15-16). Vi si legge: « Qui c'è la tomba di (Schebna) - Jahu, maggiordomo. Non ha né oro né argento qui, ma solo (le sue ossa) e le ossa della sua concubina. Maledetto sia l'uomo che l'aprirà »
2) Per materiale su cui scrivere gli Ebrei usavano talora delle lastre di piombo o di bronzo. Giobbe avrebbe desiderato che le sue parole di innocenza « fossero scolpite nella roccia con scalpello di ferro oppure sul piombo » perché rimanessero indelebili (Gb 19, 24). Di bronzo era pure la copia della lettera inviata ai Romani da Giuda Maccabeo per stabilire un'alleanza con loro e che stava conservata nel tempio di Gerusalemme (1 Mac 8, 22). In bronzo fu scritta anche l'alleanza che Sparta e Roma vollero rinnovare con Simone dopo la morte di Giuda (1 Mac 14, 18).

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3) Per gli scritti brevi come ricevute, biglietti, messaggi, si utilizzavano cocci di vasellame, i cosiddetti ostraca, tavolette di legno, scorza d'albero. Le placche di avorio o di legno, perché potessero ricevere un'iscrizione, erano prima incavate e poi su questo incavo si spalmava uno strato di cera. Il pezzo più antico finora scoperto, risalente al 705 a.C., proviene da Nimrud. La parola "gillayôn" di Isaia 8, 1 indica, a quel che pare, una piccola superfice sulla quale si può scrivere (tavoletta di legno, cuoio, ecc.). Su di essa il profeta scrisse il nome del nascituro che era un gioioso vaticinio di salvezza: « Presto, affrettati (o Assiria) a depredare (Israele e Siria, i due nemici di Giuda) », in ebraico Maher - shalàl - cash - bàz . Su di « una tavoletta » (di legno? di rame?) lo stesso profeta scrive un oracolo contro Giuda, « perché restasse una testimonianza perenne » (Is 30, 8). Ezechiele pose rispettivamente il nome di Giuda e di Israele, che poi unì assieme a simboleggiare la futura riunione dei due popoli prima divisi (Ez 37, 16 ss; cfr Ha 2, 2).

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Anche i cocci furono usati dagli Ebrei, come appare dai vari ostraca di Samaria e di Lakish e altro. Erano d'uso corrente al tempo dei Greci e dei Romani; Zaccaria se ne servì per scrivervi sopra il nome Giovanni da imporre al neonato (Lc 1, 63).

4) Ezechiele, che scrisse in Oriente dove si scriveva sull'argilla da essiccarsi al sole o in una fornace, ricevette l'ordine divino di usare una « tavoletta d'argilla»:

«Mettila dinanzi a te, disegnaci sopra una città, Gerusalemme, e disponi attorno ad essa l'assedio: rizza torri, costruisci terrapieni, schiera gli accampamenti, collocavi intorno gli arieti da guerra. Poi prendi una piastra di ferro e mettila come un muro di ferro tra te e la città, e tieni fisso lo sguardo su di essa che sarà assediata e tu la assedierai! Questo sarà un segno per gli Israeliti » (Ez 4, 1-3)
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24/05/2011 20:35
 
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Con tale gesto, che preannunciava l'assedio e la distruzione di Gerusalemme, Ezechiele in un certo modo ne mise in moto il compimento, perché quando un profeta rappresentava un fatto ne iniziava già l'attuazione.
5) Non mancava la pelle di cuoio (che diverrà più tardi la pergamena), di uso assai antico, anche se posteriore al papiro. Un rituale egiziano per la sua preparazione risale addirittura al 2000 a.C. È possibile che parti del Pentateuco siano state scritte su tale materiale, come risulta dalla possibilità di cancellarne le parole con acqua, il che suppone un materiale resistente. Infatti la donna sospettata di adulterio doveva bere l'acqua usata per cancellare le maledizioni scritte su di un rotolo, affinché si avverassero in lei, qualora fosse stata veramente colpevole (Nm 5, 23). Il volume si chiama infatti šefer che originariamente significaca "raschiare", come si usava per le pelli, ma anche per il papiro.

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