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GENESI
 
 
 IN PRINCIPIO DIO CREO' IL CIELO E LA TERRA

                                                                

 

 

L'APOCALISSE DI GIOVANNI APOSTOLO

Ultimo Aggiornamento: 29/05/2011 17:28
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«TIENI FERMAMENTE QUELLO CHE HAI, cioè la sua fede costante alla parola di Cristo, la sua attività di evangelizzazione, AFFINCHE' NESSUNO TI TOLGA LA TUA CORONA», che è assicurata ai vincitori (vedere fine commento al 2, 10).

Promessa (vers. 12)
Cristo promette un glorioso premio a questa Chiesa che mostra in modo così adeguato di essere un "candelabro": «CHI VINCE IO LO FARO' UNA COLONNA DEL TEMPIO DEL MIO DIO», cioè gli darò un posto sicuro e stabile, come stabile è una colonna, nella Chiesa gloriosa del futuro: «ED EGLI NON NE USCIRA' PIU'»: questo raggiunto stato di perfezione celeste sarà uno stato permanente, non più soggetto a pericoli, insidie e assalti nemici; dalla presenza e dalla comunione col suo Dio "non uscirà più".

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«E SCRIVERO' SU LUI IL NOME DEL MIO DIO»: questo nome che i salvati porteranno scritto sulle loro fronti (Apocalisse 14, 1; 22, 4), è il segno visibile che essi appartengono a Dio per sempre; «E IL NOME DELLA CITTA' DEL MIO DIO, DELLA NUOVA GERUSALEMME CHE SCENDE DAL CIELO D'APPRESSO ALL'IDDIO MIO»: segno anche questo che chi porta scritto in fronte il nome della città celeste è legittimo cittadino di essa. Questa "nuova Gerusalemme" non è la Gerusalemme terrena, ma è la Gerusalemme celeste, "vera città di Dio", a cui appartengono non solo l'antico Israele ma persone d'ogni popolo e tribù della terra che hanno accettato Cristo e il suo insegnamento per formare il Regno di Dio. Viene detto che essa "scende dal cielo d'appresso all'Iddio mio", perché essa è nata dal cielo, ed è il frutto del potere trasformatore dello Spirito Santo, è quindi opera di Dio. Viene detta "nuova" in contrasto alla Gerusalemme terrena, fedifrega e disubbidiente.

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«E IL MIO NUOVO NOME»: tale nome non può essere quello di "Fedele e Verace", né l'altro di "Parola di Dio", né di "Re dei Re" (nominati nel cap. 19, 11-13.16), né alcuno dei nomi ricordati nel Nuovo Testamento. E' un nome che si addice al Salvatore dopo che avrà distrutto tutti i nemici suoi e di Dio (1 Corinzi 15, 24-28; Apocalisse 20, 10.14). Questo nome del Re Vittorioso "che nessuno conosce fuorché Lui" (Apocalisse 19, 12), sarà scritto in fronte a coloro che Egli ha riscattato e condotti in cielo, come suoi trofei di vittoria.

Esortazione (vers. 13)
Vedere commento a cap. 2, 7.

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LETTERA ALLA CHIESA DI LAODICEA (VERS. 14-22)

Delle sei città che anticamente portavano il nome di Laodicea, questa, alla cui chiesa è diretta la lettera, si trova ad oriente di Efeso ed è stata riedificata da Antioco II, re di Siria (261/246 a.C.), che le aveva dato il nome della moglie Laodice. Era una città opulenta, centro di commerci, e di banche, celebre per i tessuti di lana e per una scuola di medicina. Era situata vicino ad una sorgente di acqua calda, il che spiega l'applicazione che ne fa Gesù al vers. 15. Era la città dei milionari, dei finanzieri e dei banchieri, talmente prospera da rifiutare gli aiuti governativi per la ricostruzione dopo un terremoto. Aveva teatri, stadio e ginnasio. Da quel che dice Paolo di Epafra in Colossesi 4, 12-13 risulta probabile che Epafra sia stato il fondatore della Comunità. In Colossesi 4, 16 Paolo raccomanda alla chiesa di Laodicea di leggere la lettera da lui diretta ai fratelli di Colossi e questa di leggere quella diretta a Laodicea. La maggior parte degli studiosi ritiene che questa lettera alla chiesa di Laodicea sia andata perduta; vi sono però di quelli che pensano che tale lettera non sia altro che la lettera circolare diretta agli Efesini. Laodicea fu sede nel 364 d.C. del Concilio che fissò il Canone dei Libri Ispirati, quale lo si ha oggi.

Saluto e indirizzo (vers. 14):
Per la parola "angelo" vedere commento a 2, 1

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Autodesignazione di Cristo:
«QUESTE COSE DICE L'AMEN»: la parola ebraica "Amen" ha due significati: come aggettivo significa "fermo, saldo" e in senso morale "fedele"; come avverbio significa "in verità", formula usata nel solo Vangelo di Giovanni 25 volte; qui ha il senso di verità incrollabile, fedeltà assoluta e personificata, esprimendo così la stessa idea dei vocaboli «IL TESTIMONE FEDELE E VERACE» che seguitano subito e il commento dei quali è al cap. 1, 5.

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«IL PRINCIPIO DELLA CREAZIONE DI DIO»: non significa "la creatura prima", come alcuni intendono /cfr Giovanni 1, 8-10; Colossesi 1, 16; Ebrei 1, 3), perché la parola "principio" (in greco a¦rxh£ = arké) indica quello per cui ogni cosa comincia ad essere, l'origine, la causa prima di tutto.. Se Cristo si presentasse qui come semplice creatura, sia pure il capolavoro della creazione di Dio, non avrebbe potuto dirsi "l'Amen", non possederebbe l'onniscienza presupposto nel "conosco le tue opere" (vers. 15), non potrebbe essere la fonte di ogni bene spirituale (vers. 18). Come sarebbe Egli l'alfa e l'omega, il principio e la fine, il primo e l'ultimo, e come sarebbe adorato da tutte le creature? (cfr 1, 5-7; 5, 11-14; 22). Cristo è anteriore alla creazione e ne è l'originatore, la causa efficiente e Colui che nel principio era con Dio e per mezzo del quale ogni casa è stata fatta.

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Ammonizione e minaccia (vers. 15-19):
«IO CONOSCO LE TUE OPERE»: vedere commenti ai versetti 2, 2.19; 3, 1.8.

«TU NON SEI NE' FREDDO NE' FERVENTE»: l'espressione "freddo" è un'immagine per indicare lo stato dell'uomo naturale, non convertito, estraneo alla vita dello Spirito; mentre essere "fervente" indica la persona penetrata del fuoco dello Spirito, che arde di amore per Dio ed è pieno di fervore (Romani 12, 11).
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«OH FOSSI TU PUR FREDDO O FERVENTE»: la chiesa di Laodicea è "tiepida" cioè vive nel languore e nella pigrizia spirituale, e perciò manca di risoluzione e di generosità nel combattere i vizi e nel seguire le virtù. E' uno stato pericoloso perché di mortale letargo da cui non ci si lascia scuotere né da promesse né da minacce. A tale stato è talvolta preferibile lo stato di freddezza, non già nel senso che esso non sia assolutamente peggiore, ma in quello che talvolta l'anima risorge con minore difficoltà dallo stato di freddezza che non da quello di tiepidezza.
Questo infatti si augura Gesù per la Chiesa di Laodicea.

«COSI' PERCHE' SEI TIEPIDO, E NON SEI NE' FREDDO NE' FERVENTE, IO TI VOMITERO' DALLA MIA BOCCA» : come l'acqua tiepida provoca il vomito, così la tiepidezza spirituale e morale dei Laodicesi di fronte all'amore infinito di Cristo provoca nell'animo di Lui ripugnanza e disgusto .

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POICHE' TU DICI»: il "poiché" rende spiegazione dello stato di tiepidezza, che consiste nel fatto che i cristiani di Laodicea non hanno coscienza della loro miseria, e sono soddisfatti di sé.

«IO SONO RICCO E NON HO BISOGNO DI NULLA»: i cittadini di Laodicea in genere sapevano di essere ricchi e benestanti, ed ostentavano tutto ciò rendendosi baldanzosi e antipatici agli altri. La stessa malattia aveva contagiato i membri della Chiesa, che tenevano lo stesso atteggiamento, ritenendo forse che la loro prosperità materiale fosse un chiaro segno del favore divino. Si gloriavano anche del privilegio cristiano loro accordato e delle ricchezze spirituali, di cui si credevano oggetto. Si ritenevano perciò degli "arrivati", anche per quanto riguarda la ricchezza dei beni spirituali, e quindi non più di nulla bisognosi, nemmeno delle ammonizioni, per cui pensavano di potersi permettere il lusso di restare tiepidi e indifferenti ad ogni esortazione.

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Ma Cristo dice loro chiaramente: «E NON SAI TU CHE SEI INFELICE FRA TUTTI, cioè infelice al massimo, E MISERABILE, cioè che muove a compassione, E POVERO, dei veri beni spirituali, E CIECO, riguardo al suo vero stato, E NUDO», spiritualmente agli occhi di Dio. Ai Laodicesi che, pur spiritualmente poveri, si ritengono ricchi di beni spirituali e materiali, Gesù dice: «IO TI CONSIGLIO DI CPMPRARE»: "comprare" i beni spirituali che seguono, non perché l'uomo che ne è bisognoso abbia la possibilità di pagarli avendo essi un valore infinito, ma perché deve soddisfare a certe condizioni, senza le quali le ricchezze della grazia divina non possono essere donate.
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DA ME DELL'ORO AFFINATO CON FUOCO, AFFINCHE' TU ARRICCHISCA»: più che la fede, l'amore, la giustizia, un cuore nuovo, è da vedere in questo "oro" la salvezza che ci fa veramente ricchi.

«E DELLE VESTI BIANCHE, AFFINCHE' TU TI VESTA E NON APPARISCA LA VERGOGNA DELLA TUA NUDITA'»; come sopra ai cristiani di Laodicea, che erano spiritualmente poveri, Cristo consiglia l'acquisto di "oro puro", così ora ad essi, che sono spiritualmente nudi, consiglia l'acquisto di "vesti bianche", cioè gli stessi beni rappresentati dall'oro, e specialmente le vesti del perdono divino che coprono le vergogne del peccati, o le virtù cristiane procedenti da un cuore rinnovato e che tolgono l'onta di una vita inutile, egoista e spoglia di ogni bene morale (mentre nei versetti 4-6 le vesti bianche rappresentano la gloria della perfezione,
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di cui saranno ricoperti coloro che hanno vinto con Cristo, cfr. pure 7, 14; e in 19, 8 rappresentano il lino fine, di cui è vestita la sposa di Cristo cioè "le opere giuste dei santi"). Ad essi, che sono spiritualmente ciechi, Gesù offre «DEL COLLIRIO PER UNGERTENE GLI OCCHI, AFFINCHE' TU VEGGA»: da non trascurare il fatto che la scuola di medicina di Laodicea era nota per un unguento speciale da applicare sugli occhi deboli: il "collirio" simboleggia lo spirito di verità, che rende l'uomo capace di conoscere il suo vero stato dinanzi a Dio, e gli fa vedere in Cristo il perfetto Salvatore. Come questi rimedi possono essere "comprati"? Non certo mediante le buone opere, come si insegna in alcune chiese denominazionali, ma comprare mediante una vita di fede e d'amore e mediante la preghiera a Dio.
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«TUTTI QUELLI CHE IO AMO, LI RIPRENDO E CASTIGO: ABBI DUNQUE ZELO E RAVVEDITI»: la severità del rimprovero rivolto ai cristiani di Laodicea non procede da risentimento o da odio. Gesù agisce come un padre che vuol bene ai suoi figli (cfr. Proverbi 3, 11-12; Ebrei 12, 5-16). Il "riprendere" è il far presente a uno la sua condotta cattiva per convincerlo a cambiarla; il "castigare" vale nella parola greca corrispondente "educare dei fanciulli" (paidèuo) sottoponendoli alla necessaria disciplina, che comprende riprensione e perfino castighi. A questa amorevole, per quanto severa, disciplina del Signore, i Laodicesi devono rispondere col loro "zelo" cioè, col "fervore", che si traduce in zelo nelle opere, ciò che appunto manca ai Laodicesi, accompagnato dal "ravvedimento", cioè da un mutamento totale della loro mente e della loro vita.

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Promessa (vers. 20-21):
«ECCO IO STO ALLA PORTA E PICCHIO»: questa "porta" è quella del cuore umano. Il Signore non esorta soltanto ad avere zelo e ravvedimento, ma di più: si accosta ad ogni individuo e cerca di entrare nel suo cuore. Si presenta perciò alla porta del cuore e bussa,; bussa con gli inviti della Sua Parola, con le sue riprensioni, facendo appello alla libertà, alla responsabilità, alla sete di pace e di felicità di ogni persona.

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«SE UNO ODE LA VOCE ED APRE LA PORTA, IO ENTRERO' DA LUI E CENERO' CON LUI ED EGLI MECO»: "se uno ode", infatti la salvezza è cosa che dipende esclusivamente dall'individuo che vuol corrispondere alla grazia di Dio. Se il cuore della persona si scuote alla voce del Signore "ed apre la porta", cioè presta ascolto, accogliendo con fede ubbidiente come Salvatore e amico, il Signore "entrerà da lui", cioè gli farà gustare le gioie intime della comunione personale con Lui, gioie che qui vengono presentate dall'espressione metaforica "e cenerò con lui ed egli meco". Tra i popolo orientali il "cenare insieme" era segno di speciale amicizia e comunione. Usando questa immagine Gesù vuol dire che il credente ottiene la comunione, la felicità e l'amicizia del Suo Signore (cfr. Giovanni 14, 23; 15, 5; 2, 24). Comunione che ha inizio nella vita presente, ma che sarà perfetta nella vita futura, quando ai salvati sarà assicurata la partecipazione alla podestà regale e alla gloria celeste di Cristo, Figliuolo di Dio, perciò Gesù dice: «A CHI VINCE IO DARO' DI SEDERE MECO SUL MIO TRONO, COME ANCH'IO HO VINTO E MI SON POSTO A SEDERE COL PADRE MIO SUL SUO TRONO».
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29/05/2011 17:20
 
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Quest'ultima delle promesse fatte, "a chi vince", nei messaggi delle sette Chiese è una delle più gloriose contenute nell'Apocalisse, poiché assicura a chi riporta vittoria contro il peccato di "sedere con Cristo sul suo trono" in cielo, facendolo partecipare alla sua gloria e regalità sovrana, proprio come il Cristo, il Vincitore di Satana, della morte e del peccato si è "posto a sedere col Padre suo sul suo trono". Quindi il salvato, non solo regnerà, ma regnerà con Cristo e con Dio, in una comunione strettissima.

Esortazione (vers. 22):
Vedere commento a 2, 7.


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L'APOCALISSE DI GIOVANNI APOSTOLO
commento e spiegazione a cura di
ITALO MINESTRONI

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SEZIONE SECONDA (capp. 4-7)
I SETTE SIGILLI
CAPITOLO IV
LA VISIONE DI DIO SUL TRONO

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(cap. 4, 1) «DOPO QUESTE COSE», cioè dopo le cose narrate nei primi tre capitoli, in cui i messaggi di Cristo alle Chiese si riferiscono direttamente alle "cose che sono" al tempo di Giovanni, pur con insegnamenti sempre attuali nel corso della storia della Chiesa, ora l'apostolo si accinge a parlare delle "cose che devono avvenire". Ma prima ci narra, come introduzione, la sublime visione del trono di Dio e dell'Agnello per simboleggiare due verità, che sono come la chiave della storia dell'umanità:
Iddio, che tutto ha creato, è il sovrano reggitore del mondo, dando alla storia la sua unità superiore e il suo senso, in quanto in essa devono compiersi i suoi disegni divini, anche attraverso giudizi disciplinari e distruttori e nonostante tutti gli sforzi di Satana e dei suoi strumenti;
Cristo, la cui opera redentrice è il perno della storia, il quale è il solo che possa aprire il libro in cui è racchiuso il piano di Dio, e spiegare gli enigmi che la storia del mondo offre nel suo svolgimento attraverso i secoli
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IO VIDI» e sotto si dirà che mentre ha questa visione
«E AUBITO FUI RAPITO IN SPIRITO» (vers. 2): per la spiegazione di questi due fatti, vedere commento al cap. 1, 10 "fui rapito in spirito".
«ED ECCO UNA PORTA APERTA NEL CIELO»: l'immagine della porta aperta si riannoda a quelle che raffigurano il cielo come un palazzo immenso, ovvero ancora come un grandioso tempio (Isaia 6);
«LA PRIMA VOCE CHE AVEVO UDITA PARLANTE MECO A GUISA DI TROMBA, MI DISSE»: è la voce di Cristo di cui al cap. 1, 10;
«SALI QUA»: Cristo lo invita a salire vicino a sé;
«E IO TI MOSTRERO' LE COSE CHE DEVONO AVVENIRE DA ORA INNANZI»: l'orizzonte delle visioni si allarga al futuro, che non può essere solo quello che coincide con la fine della dispensazione cristiana, ma soprattutto quello che abbraccia le sorti della Chiesa o Regno di Dio in tutta l'era cristiana sino alla fine dei tempi.
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(4, 2) «E SUBITO FUI RAPITO IN SPIRITO: ED ECCO UN TRONO ERA POSTO NEL CIELO»: l'immagine del trono di Dio è frequente nella Scrittura (Salmo 2; 11, 4; 45, 6; Isaia 6, 1; 66, 1; Ezechiele 1, 26), e spesso nell'Apocalisse.
«E SUL TRONO V'ERA UNO A SEDERE»: cioè sul trono sedeva in maestà Dio Padre, poiché più avanti nella visione figura lo Spirito Santo (vers. 5: i sette spiriti di Dio) e poi al cap. 5 il Cristo sotto diversi nomi.

(4, 3) «E COLUI CHE SEDEVA ERA NELL'ASPETTO SIMILE A ...»: L'apostolo non descrive Dio stesso, perchè non avrebbe potuto farlo (cfr. Esodo 20, 4), ma ne descrive il fulgore, lo splendore ricorrendo a immagini e paragoni ("come").
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